A proposito di gestazione per altri / di Aligi Taschera

Il 22 marzo scorso Giulia Abbate postava sulla chat di Resistenza Radicale un tweet di Marco Cappato, che diceva: “Ci sono donne che hanno perso l’utero a causa di una malattia, ma che potrebbero crescere un figlio grazie alla gestazione per altri solidale. Vietarlo è violenza da Stato Etico”.

Avevo pubblicamente promesso nella chat che avrei provato a chiarire perché il modo di Cappato di affrontare questo problema è inadeguato, come sostenuto da Domenico Spena (punto su cui, evidentemente concordo con lui), sostenendo che mi pareva una buona occasione per chiarire al pubblico le questioni etiche e politiche connesse; se poi questo chiarimento riuscisse a fornire qualche spunto di riflessione anche a Cappato, tanto meglio.

Proviamo dunque a districare il complesso groviglio di questioni che pone il tweet di Cappato, e di affrontare le questioni ad una ad una.

Partirò dal fondo, cioè dal concetto di stato etico.

Bisogna ricordare che il concetto di Stato Etico proviene dalla filosofia di G.G.F. Hegel ed è da essa inscindibile, come ben sapevano sia Giovanni gentile che Benito Mussolini. Tentare di spiegare in modo esauriente e comprensibile in un numero ragionevole di righe è un’impresa temeraria. Hegel, infatti, sosteneva che “Il vero è l’intero”. Di modo che tutti i momenti del reale (che è esso stesso pensiero) acquisiscono il loro senso e la loro conoscibilità nella loro relazione con la totalità di cui fanno parte (l’Assoluto).
La filosofia di Hegel ha la pretesa di essere espressione di questo Assoluto, e dunque isolare dal complesso della sua filosofia una parte è arbitrario e per definizione inadeguato. Tuttavia è indispensabile provarci.
Diciamo allora che per Hegel lo stato è una totalità che è un momento fondamentale del cammino dello spirito verso l’Assoluto. In quanto totalità, esso dà un senso alle molteplicità disperse che lo costituiscono: gli individui, connessi in famiglie, connesse tra loro nella società civile. Conferendo senso ed unità ai momenti che lo costituiscono, esso non deve dipendere da essi.

E c’è di più: per Hegel la moralità è un momento negativo, in quanto astratto: la morale è costituita dal dover essere, che, in quanto dover essere, non è. È un sistema di norme astratte esistenti solo nell’interiorità. La moralità va superata dell’eticità (a quanto pare per Hegel le due cose sono diverse e distinte), che è moralità incarnata, cioè moralità non più astratta, ma concreta ed oggettiva.

E come si incarna la moralità? Si incarna nello stato. Lo stato è moralità oggettivamente data nelle sue istituzioni; in quanto realtà oggettivamente esistente esso è etico: è eticità. Lo stato è anche un momento più alto della razionalità rispetto a qualsiasi ente lo costituisca (“Tutto ciò che è reale è razionale” scrisse Hegel).

A questo punto spero si capisca che cosa è lo stato etico. È uno stato totalitario, secondo il quale né alcun singolo, né alcuna formazione sociale può opporsi ad esso. Opporsi allo stato in nome di principi morali astratti è impossibile, perché le entità astratte sono inferiori a ciò che è concretamente ed oggettivamente dato (lo stato); e opporsi allo stato è per giunta irrazionale, dato che lo stato è razionalità incarnata, e ciò che è concretamente ed oggettivamente dato è superiore a ciò che è astratto. Lo stato, di conseguenza “può strappare più di un fiore innocente nel suo cammino.” Uno stato siffatto non può essere messo in questione in alcun modo.

Credo si possa capire come il riferimento di Cappato allo stato etico sia del tutto fuori luogo nel caso in questione, che è una legge che vuole proibire la gestazione di un figlio in un utero diverso da quello della madre biologica, dove per madre biologica intendo chi fornisce un gamete femminile alla creazione di un ovulo fecondato.

È presumibile che più semplicemente Cappato si scandalizzi perché in questo modo lo stato si propone di proibire per legge una pratica (l’impianto di un ovulo fecondato in un utero diverso da quello della madre biologica) per motivi morali. (Ricordo che al di fuori della tradizione hegeliana morale ed etica sono spesso usati come sinonimi).

Penso che più semplicemente Cappato voglia dire che la proibizione per legge di quel che lui chiama “gestazione per altri solidale” (su questa espressione torneremo poi), è una violenza inaccettabile, perché si proibirebbe per motivi morali una pratica oggi tecnicamente possibile. Sembrerebbe dunque che dietro questa posizione ci sia un presupposto tacito: che lo stato non possa imporre leggi per motivi morali. Il presupposto appare quanto meno dubbio.

Per discutere di questo presupposto è indispensabile fare un passo indietro, e chiarire che cosa è lo stato e che cosa ci sta a fare.

Credo sia banale dire che lo stato è l’istituzione che ha il monopolio della forza, che potremmo tranquillamente chiamare anche monopolio della violenza. La forza dello stato, infatti, consiste nel poter costringere qualcuno a fare o non fare qualcosa mediante l’inflizione di sofferenza, cioè con la violenza, o con la minaccia di pene, cioè con la minaccia di infliggere sofferenza (cioè con la minaccia di violenza). Mi pare che questa concezione dello stato sia universalmente riconosciuta, indipendentemente dalle diverse funzioni e caratteristiche che allo stato vengono attribuite. E a che scopo lo stato ha il monopolio della forza? Allo scopo di potere imporre delle norme, comunemente dette leggi, a tutta la popolazione dello stato stesso.

Filosofi di posizioni diversissime (come ad esempio Hobbes e Locke, ma non solo) concordano nel sostenere che laddove non esista un’istituzione capace di imporre leggi con la forza ci si trovi ancora nello stato di natura, e non in un mondo civile. Legge e stato sono inscindibili, e sempre meglio dell’arbitrio del più forte. Questo sosteneva, tra gli altri, Marco Pannella, che diceva che anche la più primitiva delle leggi, come il codice di Hammurabi, è sempre meglio dell’arbitrio dell’affermazione della volontà del più forte. E fu con argomentazioni di questo tipo che Pannella convinse me, fino al 1971 militante anarchico, e mi indusse ad iscrivermi al Partito Radicale nel 1972.

Dunque non si può considerare intollerabile comunque l’uso della violenza da parte dello stato. Certo, la modernità, dall’illuminismo in poi, ha sempre sostenuto che alla violenza dello stato vanno imposti dei limiti, ma solo gli anarchici si sono spinti a dire che bisogna abolire del tutto la violenza dello stato abolendo lo stato stesso. Non posso entrare qui nel merito dei diversi modi che sono stati concepiti per imporre limiti alla violenza dello stato.

Mi limito a constatare che per Cappato si direbbe che la proibizione del ricorso, mediante le nuove tecniche che lo hanno reso possibile, alla gestazione da parte di una donna che non è la madre biologica, o, per essere più chiari, non è colei che ha prodotto l’ovulo da portare fino alla nascita, sia una violenza che vada al di là dei limiti consentiti allo stato. Il perché non è chiaro. Il ricorso (in quel contesto puramente retorico) al concetto dello stato etico, però, fa pensare che Cappato creda che lo stato non possa in nessun caso imporre una visione etica (uso qui etico come sinonimo di morale) attraverso la forza, senza travalicare dai suoi limiti.

Vorrei qui far notare che mediamente è vero il contrario. Tutti gli stati proibiscono l’omicidio, che io sappia. E non lo fanno in base a principi morali, che stabiliscono che l’omicidio è male? Dirò di più: leggi che contrastino fortemente con il sentimento morale di una popolazione sono destinate a non essere rispettate.
Scrive C. Beccaria: “Consultiamo il cuore umano e in esso troveremo i principi fondamentali del vero diritto del sovrano di punire i delitti, poiché non è da sperarsi alcun vantaggio nella politica morale se elle non sia fondata sui sentimenti indelebili dell’uomo: Qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una resistenza contraria che vince alla fine…” E’ un bene che le leggi abbiano le loro radici in una concezione morale, e non riescono nemmeno ad essere efficaci se contrastano con la visione morale dominante di un popolo.

La schiavitù fu ufficialmente abolita praticamente in tutto il mondo solo verso la fine del XIX secolo quando  appariva ormai ai più come moralmente inaccettabile, e le leggi la proibirono per motivi morali. E qui sta un punto fondamentale.

Perché l’espressione “gestazione per altri solidale” sembra un eufemismo che vuole oscurare la realtà, come accade comunemente con quasi tutto il linguaggio “politically correct”.
È assolutamente concepibile che un’amica intima si offra, per amore dell’amica, a farsi impiantare un ovulo che l’amica non è in grado di impiantare nel suo utero e a portare a termine la gravidanza, per puro spirito di solidarietà. Ma è questa la situazione reale, nella maggior parte dei casi? Quale solidarietà ci può essere, da parte di una donna, per qualche straniera o straniero mai visti prima?

Nella realtà la motivazione che può spingere una donna a un gesto di questo genere è inevitabilmente prevalentemente economica, e la cosa non cambia, se invece di chiamare compenso la prestazione economica per la donna che si offre di portare a termine una gravidanza facendosi impiantare un ovulo fecondato estraneo, la si chiama rimborso spese. Ma quando c’è di mezzo una transazione economica non si può negare che avvenga qualche forma di compravendita. Dietro la gestazione per altri si nasconde spesso una forma di compravendita di bambini, nonché degli uteri utili a produrre i suddetti bambini. E dove c’è compravendita di esseri umani c’è schiavitù, come sostiene anche Fabio Massimo Nicosia, col quale mi trovo spesso in una straordinaria sintonia (straordinaria perché ci siamo visti poche volte in vita nostra, e non abbiamo mai discusso né scambiato idee).

La schiavitù consiste infatti non solo nella privazione della libertà dello schiavo, ma anche nella sua totale riduzione a merce, a oggetto liberamente vendibile e comprabile. Gli storici insegnano che tra servitù della gleba e schiavitù c’è una differenza sostanziale. E la differenza sta proprio nel fatto che, se nemmeno il servo della gleba è libero, perché legato alla terra, esso, proprio per questo, non è vendibile, come in età medievale per lo più anche la terra, che veniva trasmessa prevalentemente per eredità e non per compravendita. Lo schiavo, invece, poteva essere liberamente venduto e comprato, nell’antica Roma come negli U.S.A. prima del 1865.
E non mi si venga a dire che anche i moderni proletari sono in stato schiavile, perché devono vendere la loro forza lavoro per vivere. Essi vendono la loro capacità di produrre beni attraverso il lavoro, ma non vendono il proprio corpo né parti di esso. In questo caso, oggetto di una forma di transazione economica sarebbero un bambino, e un organo di un corpo vivente: l’utero necessario a farlo nascere. Esistono pertanto motivi morali ben fondati che sconsiglierebbero di permettere la pratica della “gestazione per altri”, come la chiama elegantemente Cappato. Né pare sensato sostenere che lo stato non può produrre leggi che abbiano un fondamento morale, altrimenti sarebbe insensato, lo ribadisco, perfino proibire l’omicidio, e, a maggior ragione, i sacrifici umani.

La questione che rimane aperta è un’altra. È che la proibizione d’autorità della pratica della maternità per altre con la forza della legge rischia di essere inefficace. Ripeto quanto scrive Beccaria: “non è da sperarsi alcun vantaggio nella politica morale se ella non sia fondata sui sentimenti indelebili dell’uomo: qualunque legge devii da questi incontrerà sempre una resistenza contraria che vince alla fine…” Non sembra che il rifiuto della maternità per terzi faccia parte, in questo momento storico, dei sentimenti indelebili dell’uomo, o meglio, dei sentimenti indelebili della maggior parte degli esseri umani, per lo meno nel cosiddetto occidente, dimodoché ci sono buone probabilità che la “resistenza contraria” vinca alla fine, con la perdita di credibilità dello stato che ciò comporta.

Sembra infatti che la sensibilità morale che indurrebbe a rifiutare la pratica della gestazione per terzi sia relegata ad una minoranza che ha conservato una forte sensibilità religiosa, o a una minoranza ristrettissima di non religiosi ancora interessati a formulare un ragionamento morale autonomo, e capaci di questo.

La mentalità dominante invece sembra essere convinta che qualunque desiderio, per quanto irrealizzabile in condizioni naturali, debba essere soddisfatto se qualcuno ha prodotto le condizioni tecniche per realizzarlo, e se l’utilizzo di tali tecniche può produrre sufficienti profitti. Il desiderio di accudire dei bambini e di farli crescere è assolutamente naturale, e farebbe parte dei sistemi motivazionali speciespecifici umani, secondo J. Bowlby, G. Liotti ed altri. È però dubbio che a partire da questa constatazione si possa parlare di diritto alla genitorialità, come molti fanno, ma anche ammesso che sia sensato trasformare in diritto un desiderio o la soddisfazione di un sistema motivazionale innato, perché soddisfarlo mediante tecniche complicate, che inevitabilmente prevedono transazioni commerciali (oltre che il compenso, o “rimborso spese” per la donna che mette a disposizione l’utero, dobbiamo ricordare i compensi per il medico che effettua l’intervento e per tutti gli strumenti tecnologici implicati dall’operazione), piuttosto che con l’istituzione che per migliaia di anni è stata utilizzata a questo scopo, cioè l’adozione di bambini privi di genitori? Una coppia di omosessuali maschi mi potrebbe tranquillamente rispondere che vuole ricorrere a questa soluzione tecnica semplicemente perché la legge le impedisce di adottare bambini. Ma non è questo l’esempio fatto da Cappato. Cappato ci parla di una donna qualunque, impossibilitata a procreare a causa di una malattia.

In questo caso possiamo trovare una risposta alla mia domanda nella nota teoria del “gene egoista”. Essa sostiene con buone ragioni che l’oggetto della selezione naturale non è tanto il singolo individuo, quanto il gene. Sono i geni che tendono a riprodurre sé stessi nel numero maggiore di copie possibile, e sono i geni ad essere in questo modo oggetto della selezione naturale. Pertanto i geni indurrebbero i loro possessori a comportarsi in modo da diffondere il maggior numero possibile di copie di sé stessi, e in questo senso sono “egoisti” ed inducono a comportamenti egoisti.

Un esempio paradigmatico di comportamenti indotti dai “geni egoisti” è quello della scimmia Langur.

La scimmia Langur è esemplare. Si tratta di una specie di scimmie dotata di una forte organizzazione gerarchica, nella quale il maschio dominante ha il monopolio totale delle femmine. Quando un maschio più giovane riesce a “detronizzare” il maschio dominante, egli ammazza tutti i cuccioli del branco. I sociobiologi spiegano questo comportamento nel modo seguente: così facendo, cioè privando dei loro cuccioli le femmine, il nuovo maschio dominante elimina i geni del rivale, e, costringendole a smettere di allattare, provoca in queste ultime un nuovo estro, che gli permette di accoppiarsi con loro, diffondendo così i suoi geni, ed aumentando così la sua idoneità, o “fitness”, evolutiva. Alla base dell’esigenza di produrre un figlio a partire dal proprio ovulo o dal proprio sperma, dunque, ci sarebbe una tendenza estremamente primitiva, che abbiamo in comune non solo con la scimmia Langur, ma anche con animali inferiori come gli insetti: la tendenza a diffondere i nostri geni. Niente di male, mi si potrebbe rispondere, è una tendenza naturale. Già, ma cosa direste di un maschio umano che si comportasse come la scimmia Langur? Credo che la maggior parte delle persone sarebbe d’accordo con me nel giudicarlo moralmente abominevole.

Questo perché l’essere umano, diversamente dalla scimmia Langur, è dotato di forti sistemi motivazionali, o pulsioni, cooperativi e prosociali, ed è dotato di intelletto e conoscenza, che gli rendono possibile inibire determinate tendenze pulsionali e favorirne altre: in altri termini, l’uomo è dotato di un certo grado di libertà.

Con questo voglio dire che la tecnologia, esimendo chi vuole stabilire una relazione con dei bambini non essendo in grado di procrearli, dal dovere di adottarli, gli permette di regredire al livello della scimmia Langur o degli insetti.

Ma è presumibilmente inefficace credere di potere proibire con la forza della legge comportamenti morali regressivi. Il problema è culturale, di evoluzione della coscienza morale comune, che può essere frutto solo di un grande dibattito razionale, più che di proibizioni legali. Nel momento i cui una posizione morale è minoritaria, è un’illusione credere di poterla diffondere con la forza; un’illusione tipica del clericalismo, e probabilmente connaturata col cristianesimo, che è passato da religione di minoranza a religione dominante per mezzo della forza dell’impero romano. Ma la questione è seria, e non ce ne si può sbarazzare con una battuta retorica. Purtroppo è proprio il dibattito razionale su questo tema che manca. In luogo di un dibattito razionale, assistiamo a uno scontro tra cosche che usano la gestazione per terzi e la sua proibizione come vessilli identitari.

Per concludere, visto che Cappato parla di “gestazione per altri solidale”, mi si permetta di riportare un esempio, a me caro, di vera gestazione solidale. Anni fa, in Marocco, ho conosciuto personalmente un’anziana signora (oggi defunta) che, rendendosi conto di non essere in grado di procreare, aveva spinto il marito a sposare una seconda moglie (cosa che la legge marocchina, ispirata al diritto islamico, permetteva), per poter partecipare alla crescita materiale e spirituale dei bambini. Le due mogli hanno sviluppato un buon rapporto, i bambini e le bambine sono stati cresciuti ed educati bene da entrambe le donne, e sono rimasti affezionati a questa signora più ancora che alla madre biologica. Una di queste bambine, cresciuta, è mia suocera. Ecco come l’Islam ha saggiamente affrontato il problema sterilità, ed ecco un esempio di solidarietà altissima tra donne. E ora non oso dire che il divieto della poligamia è una “violenza da stato etico”.

                                                                                                               Aligi Taschera

P.S. Se qualcuno volesse approfondire ulteriormente, può leggere il mio articolo “Sesso, procreazione ed etica”, scritto nell’ormai lontano 2016, che può trovare al seguente link: Sesso, procreazione ed etica – Creatori di Futuro